Cari tutti, reputo sensato proporvi uno scritto del mio amico Luciano Ventriglia.
Animale con cui mi onoro di condividere il palco in vari concerti, in teatri e piazze, nell'ultimo decennio.
Si, è un poco lungo ma non fa nulla.
Chi lo riterrà necessario arriverà fino in fondo.
Gli altri possono comodamente tornare a pensare a come andrà l'estate in Costa Smeralda ed ai duroni di Flavio Briatore.
Buona lettura.
LA STAGIONE DEL SUICIDIO E IL LAVORO ETERNO
Una volta si lavorava come muli da soma. La terra è bassa, le schiene si piegavano e si spezzavano.
Poi è arrivata la rivoluzione industriale e la produzione massiva di beni di consumo. Le civiltà si sono supposte civili ed hanno permesso al lavoro di trovare una sua regolamentazione, ma ci si spaccava comunque in quattro; era cambiato solo il contesto. Le lotte sindacali e le conquiste democratiche, assieme all’avanzare delle tecnologie, avevano poi toccato l’apice delle vittorie sul piano dei Diritti civili negli anni del boom economico e successivi. Fu così che qualcuno riuscì ad andare in pensione ancora giovane.
Io appartengo alla generazione che ha visto i propri padri lavorare fino all’età di 55, 60 anni. I più furbi e fortunati a quel tempo riuscivano a farlo anche senza superare i 50 anni. Ai miei occhi di studenti questi erano i vecchi, i vecchi del mestiere. Una volta non troppo remota, quindi, i vecchi del mestiere sui luoghi di lavoro guardavano avanzare i giovani neo assunti, i quali (ne erano consapevoli), li avrebbero presto rimpiazzati; il ricambio generazionale era una certezza. I vecchi alzavano le spalle e sospiravano, consapevoli di aver fatto il loro tempo, e sbottavano un pò rammaricati e un pò compiaciuti di aver guadagnato e raggiunto il sospirato riposo della pensione. Usciva dalle loro bocche un rassegnato e sardonico "dentro i freschi!". Si sentivano sostituiti, non messi da parte e rottamati! Era un moto di rassegnazione sereno, che stava nell’accettazione dell’ordine delle cose, un’altra stagione della vita. La logica normale del turn over. Quindi si arrivava alla pensione, per tutti era giusto così; inoltre a quell'età è legittimo dichiararsi stanchi e reclamare il fatidico "sotto i freschi".
Beh, si va in pensione sì, ma si è ancora buoni a godersi il proprio tempo ed i prima preclusi piaceri della vita. Anche la vecchiaia poteva essere interessante, molte cose c’erano ancora da fare: il nonno – ad esempio e innanzitutto! Poi qualche sport estremo, chessò, le bocce, nei cortili dei bar del quartiere, alla fine per gradire una bella briscola condita di parolacce, calcio fresco e un gotto di rosso cancarone con gli amici vegliardi prima di andare a cena e poi a letto, dopo Maigret e Rischiatutto. I più” adventures” trovavano nella quiete della campagna e nella cura dell’orto un piacevole distensivo. Queste visioni, con le quali io sono cresciuto, non esistono improvvisamente più! Spazzate via in un attimo. Così i giovani di oggi non ricalcheranno la strada dei loro padri e il futuro sarà un futuro diverso. E anche i loro padri non avrebbero creduto possibile che il futuro vivere, per i propri figli, sarebbe stato più difficile e duro di quanto spettò a loro. C’era a quel tempo una stagione sofferta, di comitati di fabbrica, di attentati terroristici, di cortei e rappresaglie, di stratificazione sociale in classi, ma c’era anche partecipazione e un certo fervore ottimistico di credere nel domani. Solo 30 anni fa il tempo nel suo scorrere sembrava più umano, quasi preistorico se visto con gli occhi di oggi. C’era sempre anche il mugugno selvaggio accompagnato dal famoso sbotto da treno “piove: governo ladro”. Mentre tutto ciò accadeva i padri raggiungevano mete impossibili oggi per la loro progenie. Gli obiettivi delle vite di allora parevano e si concretizzavano possibili e normali: prender casa, comperare l’automobile FIAT, dar da mangiare alla propria famiglia (nuclei di 5 o più persone), portare tutti in vacanza una volta all’anno, tutto questo col solo reddito del capofamiglia e finendo il proprio ciclo sociale senza lasciare debiti o mutui trentennali da estinguere. Nessuno poteva prevedere una così forte e accelerata discontinuità del presente di oggi col presente di allora. Siamo giunti – in un relativamente brevissimo arco temporale – dall’Italia “mafia-spaghetti-mandolino” all’Italia che perde il lavoro e si suicida, oppure lo mantiene ad ogni costo, fino a tornare a spaccarsi la schiena e lo stomaco a furia d'ingoiare bocconi amari e rospi grossi come polli. E’ troppo schiacciante la paura di perdere tutto, di finire sul lastrico, di fare la fine di quello sui titoli di cronaca nera. Si accetta d'arretrare e perdere conquiste e Diritti piuttosto che affrontare la perdita totale di reddito e di dignità. La strage della follia, il gesto estremo, il suicidio e il tentato suicidio. Nessuno poteva prevedere allora, all'epoca di Mazzola, di Baggio e Paolo Rossi, un’evoluzione così fortemente involutiva! Oggi, smanettando sul web, ho scoperto che esiste un termine che non è “mobbing” per definire lo sfruttamento sul lavoro di uomini e donne (finalmente hanno ottenuto anch’esse la dignità di un reddito autonomo), i quali lavorano a tutto spiano sottopagati per poter vivere dignitosamente in nuclei familiari sempre più piccoli, perché sempre più grande è la paura di metter al mondo i propri figli. Il termine è nipponico: Karōshi, dal giapponese morte per eccesso di lavoro! Bisogna ancora coniare un termine per definire morte da suicidio per la perdita di un posto di lavoro, della vergogna davanti alla propria famiglia di non saper mantenere e proteggere la propria casa e la dignità, di fronte a debiti che schiacciano e non si sa da che parte arrivino! Quindi in una delle civiltà più avanzate e ricche dell’economia planetaria, il Giappone appunto, accade che si muoia a furia di lavorare 11 ore al giorno, con 6 ore di ferie all’anno. Altrettanto seriamente i nipponici monitorano questi fenomeni sociali, restituendo la stima del paese che detiene il record di suicidi tra la popolazione. Il fatto preoccupante è che tutto ciò che accade nei paesi faro dell’economia capitalistica poi viene importato e adottato dai paesi gregari quali appartiene da sempre l’Italia. Già abbiamo incominciato le manovre di allineamento, infatti (ma questo già a livello europeo), ci si impone di andare in pensione sempre più tardi. Arriveremo a morire mentre lavoriamo, risparmiando all’ente di previdenza di dichiarare apertamente il fallimento. L’Ente però continuerà a vivere, per apparire sintonico alle norme di un paese cosiddetto civile. Dopo alcuni anni di questo trend i bilanci passeranno da rosso a verde, come i semafori! E poi, non solo andiamo in pensione sempre più tardi e sempre meno, ma anche sempre più malati, perché costretti a vivere in questo delirante modernismo, che impone ritmi inumani ad una sempre più effimera quotidianità, e getta nell’accelerazione impazzita i destini di milioni di persone. Per questo motivo i nuovi vecchi non godranno mai dei “privilegi” (oggi si possono chiamare così) dei vecchi vecchi. Si rimane al lavoro fino ad età impensabili, ci si ammala nel corpo e nella mente (cuore, stress, depressione), perché il tempo prevarica sul tempo. Tutto è concitato, accelerato, irraggiungibile. Il tempo non scorre più armonico. Dalla sua comparsa, da quando è stata inventata, è la macchina che detta il ritmo all'uomo, e non viceversa. Le società sono sempre più competitive e litigiose, i fanatismi sono sempre più settari e pericolosi, tutto è misurato sul parametro di redditività nell’unità di tempo e di costo. Ci raggirano con termini altisonanti: il benchmarching, la perfòrmance, lo spread... che se un giorno non significano nulla il giorno dopo sono già nel dizionario parlato del giornalaio, del fiorista, del barista, del benzinaio, già tutti esperti in una sola notte di gestione aziendale e di Economia. Dopo anni d’imbelle spreco oggi si risparmia su tutto, scaricando le colpe su chi ci ha preceduti. A me personalmente è preceduto mio padre che ha avuto il merito di crescere tre figli orgogliosamente con le proprie forze. Oggi non ho ereditato da lui né un forziere di dobloni, né una villa in costa azzurra. Lavoro, come fece lui prima di me, e l’ho guardato tante volte, mio padre, e v'assicuro di averlo visto ben attento a mai sprecare nulla, anzi, era il Mc Gyver della riparazione low cost; con un foglio di giornale e il fil di ferro ricavato dal tappo dello spumante riparava la mantovana delle tende in salotto, con mio stupore e somma roconoscenza di mia madre che riconosceva in quel lavoro lo spirito del vero uomo. Poi ricordo che mia madre non entrava a prendere da bere al bar perché costava troppo e non ce lo si poteva permettere. Mania che le è rimasta anche adesso. Ne ha fatto uno stile di vita, altro che spreco! Quindi chi ha sprecato cosa? Chi ha tratto ricchezza e agio dagli sprechi di chi? Chi ha ingannato e tradito la fantasia e l'estro dei riparatori come mio padre, su cui l'amatissimo Lucio Battisti compose anche una canzone... QUEL GRAN GENIOOO DEL MIO AMICOOO...
Eppure oggi scendono in campo gli esperti, e zac zac… dal dottor sottile allo spietato banchiere contabile assistiamo ad un arretramento pauroso e a docce gelate che cascano a pioggia sulle teste in basso: oggi a me, domani a te, infine a tutti quanti. Così non ci sono più posti negli ospedali e al pronto soccorso scarseggiano garze e bende; molti non se ne sono ancora accorti ma io ci sono passato e sconsiglio di cuore a tutti di farsi male con troppa facilità (chi non crede o a chi suona parossistico chieda a qualche amico o amica che lavora nella sanità). Aumentano i controlli e le repressioni a botte di automazioni e telecamere (la tecnologia e le macchine vengono usate per produrre anch’esse denaro ed infelicità; anziché usare la teconogia, farla lavorare per l’uomo e al posto dell’uomo, l’uomo la usa contro sé stesso). Si moltiplicano le regole, le sanzioni penali e quelle amministrative, senza ottenere in cambio più legalità (il codice della strada è stato oggetto di mille e più rivisitazioni, così come altre leggi e leggine, mentre sono ancora in vigore alcuni decreti Regi). Le tasse nazionali e locali sono impennate e molti calcolano i centimetri che rimangono al cappio per respirare. Ogni 20 del mese si entra in camera iperbarica ad aspettare che il mese finisca. In nome della contabilità di cassa il sistema sociale produce mostri, come le Agenzie di riscossione coatta, capaci di togliere la casa ad un pensionato per insolvenza, e metterlo in strada senza tanti scrupoli e complimenti. I Governi tagliano indiscriminatamente sulla spesa, migliaia di persone perdono il lavoro, Comuni e Enti Locali sono allo sbando e le privatizzazioni erodono le politiche di welfare, l'unico riparo nel mondo cinico a sostegno alle fasce deboli. Presto verremo aggrediti per rapina ai semafori da clochard nuovissimi, che solo ieri erano i nostri vicini di pianerottolo, i vicini caduti in disgrazia. Presto ci sarà una lotta per la sopravvivenza e i suicidi aumenteranno. L’insostenibilità di adeguarsi ad un repentino cambiamento verso il basso della propria qualità di vita è un passaggio sociale al quale gran parte della popolazione non è per nulla preparata. L’italiano medio ha ancora negli occhi l’edonismo plastico dell’era craxiana, al quale si è succeduto lo stato di ipnosi collettiva della videocrazia berlusconiana, col suo irrisolto ottimismo arricchito di conflitti d'interessi e orgette. Abbiamo ancora negli occhi le battute del Gabibbo e di tutta la TV d’intrattenimento; crediamo ancora alla Pubblicità e a quello che dice la TV, il nostro più potente oracolo dagli anni '50. Acquistiamo ancora beni di lusso, come se fosse ieri, e per riuscirci ci impicchiamo all’albero sempre verde delle banche; crediamo ancora all’illusione di un mondo possibilista che premia i meriti e le virtù e ci inerpichiamo in impossibili tentativi di apparire felici, mentre mettiamo a perdere l’amico dell’amico per ottenere di favorirci nel fare le scarpe a questo e a quello, nostro pari, che nel frattempo fa altrettanto. L’apparenza vince ancora di gran lunga sulla sostanza e i mali estremi degli ultimi anni, come la crisi economica, i licenziamenti e la perdita di tante attività, la fuga dei cervelli, i tagli alla cultura e alla scuola pubblica, l’arretramento di molti diritti sociali acquisiti dalle lotte di classe negli anni 70, l’erosione delle libertà collettive e individuali planetarie post 11/9; i terremoti nazionali e internazionali, le alluvioni, le stragi, gli incidenti, hanno scalfito solo leggermente la patina spessa dell’inconsapevolezza. La gente si abbevera ancora all’informazione dei mass media, ignorando il numero di saracinesche che non si rialzano al mattino e sminuendo la portata dei pochi e strozzati scandali che vengono a galla sulla malagestione della cosa pubblica, sul controllo stereotipato dell’informazione, sull'accaparramento e le balle pazzesche dei politici. Ci si illude – è preferibile – che gli scandali siano eventi isolati. Si crede ancora, con una ingenuità da anni 60, alle lusinghe degli imbonitori, specialisti nella vendita della mezza quota piena del bicchiere. Poveri i nostri vecchi, che credevano di spaccarsi le ossa per il futuro migliore, poveri noi quando allora studenti non sapevamo che non sarebbe stato così, poveri i papà di oggi, che hanno accumulato più amarezze e più sconfitte e fallimenti della classe che li ha preceduti, e non raggiungeranno mai i traguardi raggiunti dai loro padri. Poveri i nostri figli, che non hanno un orizzonte certo del quale illudersi, come avemmo a nostro tempo noi guardando i vecchi al bar, e poveri gli ignari, gli illusi, che sono e vogliono restare tali; poveri anche i ricchi che per rimanere ad esserlo dovranno calpestare molte teste, e se avranno una coscienza dovranno con essa litigare; poveri gli esodati e quelli che pregustavano di ritirarsi e che invece devono rimanere altri due anni, poveri i CoCoCo i CoCoPRO, e quelli che inventano queste cose; poveri quelli dei call center, poveri tutti i precari ai quali è precluso il mutuo ed ogni progetto di vita; povero me, che non penso in questo momento che ad un angolo ristretto di mondo, dal mio piccolo punto di vista. Un'unica consolazione: la speranza che noi si sappia spiegare tutto questo molto bene ai nostri figli, così che quando saranno loro domani la classe dirigente, vedano il futuro con un’idea di progresso diverso. Che abbiano la forza e le capacità di intuire e creare una nuova formula che non finisca come la nostra nel calderone dei soliti scoloriti corsi e ricorsi della Storia! Ma nulla ci può garantire che la nostra buona fede a spiegare loro certe cose non verrà poi vista da loro nel futuro attraverso la stessa lente con la quale la memoria mi riporta al Bar Lux di S. Fruttoso, in mezzo alla caciara delle briscole dei vecchi reduci dalla sfida di bocce.
Fine del sermone, siete stati stoici, possiamo tornare a stenderci sul divano di fronte a striscia la notizia.
Amen.
LUCIANO VENTRIGLIA
Grazie, un pezzo molto bello e ben scritto.
RispondiEliminamiki