28.3.10

PASSAPORTO X


Quasi cinque anni or sono, io e mia moglie dovemmo fare il passaporto per nostro figlio di 27 giorni. Dopo aver girato a vuoto per presunti certificati d’espatrio, causa cattive informazioni elargite dall’impiegata della Questura di quartiere, arriviamo al dunque.
Per il passaporto di un neonato bisogna seguire la stessa trafila dell’adulto, ivi comprese le costose marche da bollo, versamenti e fototessere.
Con tutto l’occorrente compilato a puntino, eccoci quindi all’ufficio passaporti (rigorosamente col pupo al seguito, in dormiveglia/pianto nel sarcofago da passeggio) e mostrando il materiale ad una agente parecchio acidella seppur giovincella, scopriamo che nelle foto l’infante deve: essere in posa centrale con gli occhi aperti e la testa dritta, il più vicino possibile all’obbiettivo, con la minor presenza fisica delle carni del genitore che lo sorregge nell’aere fotografica.
La nostra immagine lo proponeva comodamente assopito nella borsa portatile in verticale appoggiata sul mio petto, più l’intero avambraccio a sorreggerene il davanti che non scivolasse.
Nulla di fatto, andiamo a rifare le foto.
Tempo a disposizione prima della chiusura dell’ufficio: un ora e mezza, e siamo a piedi.
Dopo un poco di autobus sotto un sole enorme, arriviamo alla Questura centrale, dove la macchinetta per le fototessere è rotta.
A passo svelto, arriviamo negli uffici comunali più vicini, di sicuro un’altra l’avremmo trovata; infatti eccoci a sventolare il piccolo nell’aria tentando di tenergli la testa dritta senza fare vedere le nostre mani o pezzi di faccia nell’inquadratura… ma egli sbadiglia e la posa risulta inutile al riconoscimento ufficiale. Poi la macchinetta era vecchia e non c’erano le tre possibilità di scatto e di scelta, che sfiga.
Essendo vicini alla stazione ferroviaria, decidiamo (sempre a piedi), per altri tentativi negli automatici accanto alle biglietterie, di solito occupate da giovanissimi equadoriani che si divertono a fotografarsi abbracciati in tre o quattro.
Con il primo scatto otteniamo una foto ammiccante e sorridente dove tiene gli occhi socchiusi, quindi ironica e inutile.
Con il secondo finalmente il neonato prende coscienza dell’essere un fiero cittadino italiano e si esibisce in una perfetta faccia da passaporto, occhi aperti e zero lacrime.
A venti minuti dala chiusura, con l’ennesimo bus, siamo di nuovo nell’ufficio.
Un agente molto più disponibile porta a termine la faticosa pratica ricordandoci che il passaporto sarebbe durato solo un annetto e non dieci, causa cambiamento fisiognomico inevitabile e conseguente rischio di arresto all’estero come trafficanti di infanti o di organi.
Io, già alterato da un paio d’ore, chiedo se la futura sostituzione del documento sarebbe stata gratuita… ah ah ah, sempliciotto coglione che altro non sono. Bisognerà rifare di nuovo tutto da capo, versamenti e bolli compresi, sperando che rimanga nano per non ripetere la trafila ad libitum.
Conclusione: lo stato lucra sui neonati ignari (e sulle tasche dei genitori consapevoli) per l’affare passaporti… non mi meraviglio quindi, che a grandi e piccini vengano sovente forti coliche addominali e spasmi nervosi, ma non dovrebbero tutelare il cittadino?
Ma allegria, è solo una goccia in quest’oceano di silente inerzia popolare, ma quand’è che ci incazziamo per benino…???

24.3.10

LETTERA A BABBO NATALE



Caro Babbo Natale,
ti scrivo già adesso che di sicuro starai già preparando i regali per Dicembre.

Devi sapere che quando vado in edicola con il mio papà ho un grandissimo problema: non so mai cosa comperarmi da leggere.

Per l’Uomo Ragno sono troppo piccolo, per Tex anche, per Dylan Dog non ne parliamo. E poi non mi piacciono neanche tanto, figurati le graphic novel…
Topolino non mi è simpatico perché vince sempre e Paperino l’ho già letto e sono stufo.
La Pimpa mi piace perché la leggeva anche il mio papà da piccolo ma oramai io sto diventando troppo grande e quella cagnetta a pallini rossi è per i più piccini di me ed io a Natale avrò già 5 anni compiuti.
Giulio Coniglio non mi piace ed il resto è roba per le femmine.
Bleah..!

Il mio papino, ogni tanto, mi fa vedere i suoi vecchi fumetti che leggeva da piccolo, però non me li fa leggere sempre perché glieli rovino.
Ha dei vecchi Cucciolo, Tiramolla, Fox lo Sceriffo, Serafino il vagabondo, Geppo, Soldino e Nonna Abelarda, Trottolino, il Gatto Felix, Braccio di Ferro e tanti altri.
E allora ti chiedo: perché non mi fai trovare allegati ai quotidiani che comperano i grandi, una bella collana settimanale con una ragionata ed accurata selezione dei fumetti comici per bambini degli anni ‘60 e ’70..?
Magari con ogni uscita potresti anche allegare una ristampa anastatica dei numeri uno del personaggio del volume (come stanno già facendo con la collana di Topolino di Floyd Gottfredson allegata al Corriere della Sera), così se lo tiene il mio papà (che sarà contentissimo) ed io potrò leggermi il mio bel libro settimanale tante volte fino a distruggerlo.

Non ne voglio tanti, ne basteranno una decina.
Ecco, dieci è il numero giusto..!

Sarebbe proprio una cosa bellissima oltre che intelligente.
E tu sei una persona intelligente vero?
Che pensi a noi bambini e che non lavori solo per i grandi che vogliono sempre cose serie che mi annoiano. Uffa…

E poi potresti farla curare dal signor Luca Boschi che di queste cose ne sa tantissimo, oppure anche dal mio papà che con quei fumetti vecchi ci lavora ma non ha abbastanza soldini per stamparli tutti.
Riesce a fare solo i libri di Pugaciòff con il suo amico Giorgio e forse tra poco anche Tiramolla. Però devo sempre aspettare un mucchio di tempo ogni volta per avere un nuovo volume.

Non mi vorrai mica dire che sarò costretto a sciropparmi per l’ennesima volta un altro Tex, Uomo Ragno o Lupo Alberto, però magari in 3D da leggere con gli occhialini… Così i personaggi usciranno dalle pagine del fumetto per consolarmi.

Sappi comunque che sono un bambino buono e un bel regalo me lo merito proprio..!

Allora affare fatto?

21.3.10

MAN THING 1602

Eccovi un breve racconto horror.
Così mi sarebbe piaciuto reinventare MAN THING, la cosa della palude, in una versione del 1602.
Cosa che difficilmente avverrà e che quindi vi regalo.
Di sicuro è un post un pochino lungo ma chiedo venia per questo.
Buona lettura.




Che Dio abbia misericordia di me.
Ho peccato ancora… sono un figlio imperfetto e fallibile. Sono un uomo.
Il frutto del mio peccato è una maledizione che corrode l’anima
e l’espiazione della colpa attraverso il dolore non basta.
Ho tradito la Fede, sono colpevole.
Ho tradito la vita, e così anche me stesso.

Lei era un’ombra bellissima, coperta di alito nero,
portava il profumo dei campi di grano, della mietitura.
Ricordo l’odore di zucchero e incenso della sua bocca mentre parlava.
Ciò che il mistero confessionale non permetteva di vedere,
lo immaginavo in preghiera e così ho peccato la prima volta.

Chiese il mio aiuto per custodire un segreto e liberarla da un peso,
di qualcosa che aveva dovuto rubare.
Lasciò sull’inginocchiatoio una piccola sacca di pelle conciata.
Vi trovai all’interno un’ampolla marchiata in oro col sigillo del Grande Inquisitore. Era bizzarro: io, custode della casa del Signore,
dell’intimità confessionale e dei miei sensi di colpa.
Non ho potuto dire di no, qualcosa di familiare mi guidava l’anima,
come ipnotizzato e schiavo del suo canto sottovoce.
Dall’alito suadente e calmo, dai capelli ricci e rossi di carne viva.
Guardai un cielo infuocato ed ebbi paura di me stesso.

Vennero la stessa notte con ferro e bastoni, vennero a cercarmi.
Una notte senza luna illuminata di fiamme e polvere.
La mia umile chiesa li accolse nell’amore di Dio ma si sbagliava.
Fuggii verso la palude con l’ampolla appesa al collo.

Mi inseguirono tutta la notte e il giorno dopo,
non erano abili cacciatori, almeno non più di me.
Trovai un vecchio capanno abbandonato e dismesso,
non li vedevo più e decisi di fermarmi a respirare.
Osservai l’oggetto, pieno di un liquido verde smeraldo
con fondo violaceo torbido: mortale mistero in ampolla ovoidale.
Lei mi aveva avvertito: “Se cadesse in mani sbagliate
non avremo più speranze, sarà la fine, l’Apocalisse.
Il grande Inquisitore sarà immortale, come il vostro Dio.
Dominerà con la tirannia del sangue e della morte”.

Ma qual è la statura di Dio?
E quale quella dell’Inquisitore?
Potente era la tentazione di sostituirmi io stesso a entrambi,
forte era il desiderio di assimilare il liquido e guidare la nuova era
secondo una fede buona e giusta, secondo la mia fede, come fa un padre con il figlio.
In un certo senso fui accontentato.

Fui svegliato dall’inquisitore stesso.
Era con lei e tre esseri deformi.
La vidi per la prima volta senza velo, senza doverla immaginare.
Tentai la fuga, avevo l’ampolla appesa al collo e voglia di vomitare.
Forze occulte mi sollevarono da terra e non riuscivo a muovermi,
appeso per il tappo che chiudeva il filtro.
Ma il tappo si aprì e il liquido cadde nella mia bocca terrorizzata.
Mi presero a calci nella speranza di farmelo vomitare. la speranza…
Trascinato fuori come una preda assassinata,
legato ad un albero marcio, immerso per metà nella palude,
pieno di vergogna davanti agli occhi di lei, come una bestia abbandonata.
Abbandonato da Dio, da qualcosa di grande che si preoccupa
e si prende cura dei suoi figli ingrati, nei secoli dei secoli.
E’ la fede in Dio che ci distingue dalle bestie,
la fede degli animali è l’istinto,
e il mio istinto non aveva funzionato molto bene.

“Perché fate questo? Liberatemi..!” - e se ne andarono senza ascoltare.
Dopo ore vomitai.
Un fluido che bruciò le carni sino all’osso.
Urlai di muto, inevitabile dolore, senza più corde vocali né lingua.
L’acqua gelatinosa emanava odori fetidi, non sentivo più i piedi,
come scomparsi, fusi nel letto della palude e vidi lei dormirmi accanto.
Ebbi l’istinto di toccarla, di sfilarle il cappuccio per rivederla in viso.
Una magra radice esaudì il mio desiderio, emerse e le scostò il mantello.
La cosa incredibile era che avevo la sensazione di essere io a farlo,
come se nuove dita agissero al mio servizio.
La carezzai con dolcezza, attento a non svegliarla.
Mi addormentai.



Arrivò di fronte un uccello sottile, dal becco affamato,
sentivo chiara l’intenzione di mangiarmi gli occhi… e così fece.
Non reagii, non lo allontanai, meritavo ben più di un castigo.
Dio mi puniva affinchè non potessi più guardarla, era cosa buona e giusta.
L’uccello terminò il magro banchetto ma gli occhi continuavano a vedere,
solo una forte tendenza al rosso saturava le immagini,
come un filtro insanguinato scuro.
Guardai le braccia legate,
le spalle nude somigliavano a radici coperte di muschio vivace.
Non sentivo dolore né dispiacere.

Poi venne in visita uno scorpione sul dorso d’un serpente, il diavolo probabilmente. Amava ricordarmi quanto fosse diventata precaria e folle la mia fede
e chinando la testa per guardarlo meglio mi specchiai.
Grandi occhi rossi e lunghi capelli erbosi con radici pendule
formavano cerchi toccando l’acqua.
Avevo sempre desiderato una folta capigliatura ma la mia chiesa non lo permetteva. La bestia immonda strisciò sul mio stomaco,
rifugiandosi all’interno del petto, entrava nella sua nuova casa, la casa del peccato.
Sul pelo dell’acqua putrida vidi galleggiare il mio orecchio e alcuni denti.



D’un tratto la bella voce, lei era sveglia e la riconobbi.
Era mia sorella, la piccola Magdalene…
“Buongiorno Teddy… mi riconosci adesso?
Sono la tua adorata sorellina che hai abbandonato quindici anni fa…
Te la ricordi la mamma? Era molto malata e tu le hai dato il colpo di grazia andandotene via, l’hai uccisa di dolore e sei scappato per sempre.
Papà invece è morto per mano dei tuoi confratelli, soldati di fede e di spada che pretendevano la nostra casa perché lì avrebbero costruito una nuova chiesa.
La tua Santa Madre Chiesa, il Demonio che ha distrutto la nostra famiglia
… e la mia vita. Sono rimasta sola Teddy e anche tu.
L’Inquisitore mi ha voluto con sé, in cambio di facili servigi,
sono diventata la prostituta al servizio di Dio,
lo stesso Dio che ti ha salvato dalla fame e dagli stenti.
Il sapore dell’Inquisitore era amaro e maleodorante
ma dovevo sopravvivere per distruggerti.
Ti ho portato l’ampolla con l’inganno, sapevo l’avresti bevuta,
saresti stato costretto a berla comunque.
Era l’unica cosa che gli avevo chiesto in tanti anni di servigi, non poteva rifiutarsi.
E sapevo che la magica palude avrebbe reagito donandoti una nuova veste.
Non ti voglio uccidere, troppo facile... Ti condanno a vivere come meriti:
un muto mostro putrescente senza sentimenti… avrei potuto far di peggio,
ma sei pur sempre il mio adorato fratellino… Teddy.”

Provai ad avvicinarmi per darle conforto e perdonarla, era chiaro che stesse soffrendo,
alcune delle mie nuove braccia la avvolsero ed era come impazzita,
urlava orrore al cielo e si dimenava lacerando le vesti.
Non avere paura, non respingermi… Mi hanno insegnato il perdono,
non ti farò del male, sei una creatura di Dio, fragile e indifesa.
Non capiva quanto l’amavo, quanto desiderassi proteggerla
ora che il Signore ci aveva riunito.
La mia piccola Magdalene, la mia cara sorellina.
Solo ora comprendo l’errore… Preghiamo.

Non riuscivo più a trattenerla e d’un tratto le cadde a terra un braccio,
poi anche il resto del corpo si spezzò.
La sollevai dinanzi a me, aveva gli occhi rivolti al cielo,
stava pregando anche lei per il suo devoto fratello e confessore.
Mi alzai dall’acqua e l’albero mi seguì come una spina dorsale.
La strinsi forte, così forte che cominciò a sanguinare ed esplose.

Ora non piangerai più dolce Magdalene, niente dolore né dispiaceri,
ma ti prometto un posto nel regno dei cieli al fianco del Padre,
lontano dall’esilio del corpo terreno.
Nostro Signore dispone i tempi della nascita e della morte
e ancora una volta ho accompagnato un’anima verso la vita eterna.
Custodirò il tuo corpo dentro di me.
Insieme nei secoli dei secoli.

La strana cosa mostruosa e claudicante la assorbì nel petto erboso e scomparve nelle nebbie della palude.

19.3.10

FEMMINA RIDENS


Questo vademecum è oro colato!
Una breve sequenza di punti che circolava in rete tempo or sono e che mi premuro di riproporvi per la bontà di certe affermazioni...
Cose che si apprendono in anni di esperienza sono addensate qui in pillole di saggezza.
Un rapido ed efficace corso di apprendimento dell'ignoto assetto mentale delle donne.
Un elenco di segreti di facile acquisizione per uscirne vivo dopo un'incontro ravvicinato con l'esponente dell'altro sesso.
Fatelo leggere ai vostri amici uomini, ve ne saranno grati...

LE 9 PAROLE PIU' USATE DALLE DONNE

1) BENE: questa è la parola che usano le donne per terminare una discussione quando hanno ragione e tu devi stare zitto.

2) 5 MINUTI: se la donna si sta vestendo significa almeno mezz'ora.
5 minuti sono 5 minuti solo quando ti ha appena dato 5 minuti per terminare qualcosa (di maschile, personale) prima di aiutarla a pulire in casa.

3) NIENTE: La calma prima della tempesta.
Vuol dire qualcosa... e dovreste stare all'erta.
Discussioni che cominciano con niente finiscono in BENE .

4) FAI PURE: è una sfida, non un permesso.
Non lo fare.

5) SOSPIRONE: è come una parola, ma un'affermazione non verbale per cui spesso è fraintesa dagli uomini.
Un sospirone significa che lei pensa che sei un'idiota e si chiede perché stia perdendo il suo tempo lì davanti a te a discutere di niente (torna al punto 3 per il significato della parole niente).

6) OK: Questa è una delle parole più pericolose che una donna può dire a un uomo.
Significa che ha bisogno di pensare a lungo prima di decidere come e quando fartela pagare.

7) GRAZIE: Una donna ti ringrazia; non fare domande o non svenire; vuole solo ringraziarti (vorrei qui aggiungere una piccola clausola: è vero a meno che non dica 'grazie mille' che e' PURO sarcasmo e non ti sta ringraziando).
NON RISPONDERE non c'è di che, perché ciò porterebbe a un: quello che vuoi.

8) QUELLO CHE VUOI: è il modo della donna per dire vai a fare in culo.

9) NON TI PREOCCUPARE FACCIO IO: un'altra affermazione pericolosa; significa che una donna ha chiesto a un uomo di fare qualcosa svariate volte ma adesso lo sta facendo lei. Questo porterà l'uomo a chiedere: “Cosa c'è che non va?”.
Per la riposta della donna fai riferimento al punto 3.

16.3.10

IN PERFETTA SOLITUDINE



Chi opera in campo creativo è obbligato a mettere in conto un’overdose di (beata) solitudine nel suo (in)quieto vivere.

Norma comune a tutti coloro che pensano, scrivono, disegnano, inchiostrano, etc. e non hanno (o non vogliono) la fortuna di condividere uno studio/luogo/stanza con altri autori e/o umani di varia entità che ne assecondino ed alleggeriscano la follia.

Ovvio, non sempre le convivenze vanno per il giusto verso e ci sarà sempre qualcuno che dimentica di versare la quota dell’affitto o che spacca la catenella del cesso ma cambiare studio o collega è meno complicato che cambiare partner.
Le affinità elettive non sono, ahimè e per fortuna, cosa di tutti i giorni.

Quello che la mia giovine vita non ha avuto occasione di approfondire appieno è proprio questo: uno studio ove recarsi a lavorare, la convivenza (e quando ne ebbi la possibilità ero troppo scapestrato per capirne l’oggettivo valore ed approfittarne).
Una stanza di vita quotidiana dove scambiare pareri su un’anatomia dubbiosa o sulla bontà di un’intuizione, commentare fatti e ipotizzare nuove direzioni, guardare le fighe dalla finestra, cazzeggiare.

Ciò che all’oggi frena la mia possibilità di avere tal loco è un fatto meramente economico, ma questo è un altro discorso.

Il concepimento di un’opera e la sua evoluzione verso un palpabile oggetto cartaceo abbisogna di grande incoraggiamento interiore, di nobili motivazioni del tutto inventate per autoconvincersi (ogni giorno e in ogni momento) che la via intrapresa è la più giusta da percorrere, che il demone ha ragione.
Che la donna nuda che ti carezza la testa mentre disegni è solo di passaggio.

E dopo una full immersion lavorativa di qualche mese, in perfetta straniante solitudine, in dubitativa compagnia di angosce immateriali, riemergere a nuova vita comunitaria non è cosa semplice e lo studio evita proprio questo straniamento, dimensionando il lavoro in un equilibrio più naturale di quotidiana sfida condivisa tra colleghi.

I primi giorni di emersione sono quelli di un povero disadattato, mezzo muto e un poco rimbambito, che strabuzza gli occhi e guarda gli astanti come pericolosi alieni.

Poi, lentamente la parola fluidifica, si ricomincia a (soprav)vivere in ogni dove e si ha di nuovo l’impressione, nel giro di qualche mese, di perdere tempo prezioso.

Per ciò rinasce l’esigenza di tornare nel silenzio di una meravigliosa solitudine per comporre ancora, sull’improvvisato tavolo della cucina.

In moto perpetuo.
Circolare.
Ciclico.

14.3.10

HUMANA VENTURA




Un giorno come gli altri, Ennio recandosi al lavoro a 80 km da casa trovò sulla scrivania del suo ufficio una discutibile proposta di licenziamento postdatata a tre mesi. La giusta causa descritta dalla lettera parlava della sua inammissibile libertà nel non far pagare 25 centesimi la toilette aziendale ai suoi colleghi.
S’incazzò come una bestia e andò a casa, dopo oltre 30 anni di lavoro non era proprio il caso… e per giunta proprio lui: l’unico laureato della baracca.
La mattina dopo si recò comunque in azienda e dietro al suo tavolino trovò un ventenne magretto che già lo sostituiva e una ragionevole proposta dalle alte sfere: tre mesi di ferie pagate al posto del licenziamento in tronco.
Al solito, la privatizzazione sortiva i suoi effetti, falciando vittime a favore di nuove marionette più giovani e malleabili.
Ennio ha 56 anni e due figli all’università, se andasse in pensione adesso non sopravviverebbe.
Come fai a non essere ottimista?





Franco fumava sempre nell’atrio del condominio nonostante il divieto di stato e i lamenti dei condomini intolleranti.
Dall’alto dei suoi ottant’anni mi offriva spesso sigarette inestate e insieme fumavamo, però fuori dal palazzo.
Mi narrava lucido della sua infanzia in Sicilia, la fame nera e i suoi nove fratelli, l’onore militare e il rispetto.
La morte lo colse, era inevitabile come un malgoverno.
Notavo negli ultimi mesi la persistenza colloquiale sullo stesso argomento e un dimagrimento repentino: il male conclamato, preludio al trapasso.
Aveva una ragnatela d’espressione sul viso meridionale antico, una mappa topografica di fiumi e campi arati.
Mi ricordava il Bela Lugosi nel film di Tim Burton su Ed Wood.
Quella mattina al funerale c’era tutto il condominio e il solito prete nazista di fiducia che vomitava puttanate sulla sua chiesa, citando il solito San Paolo, l’apostolo acquisito, l’autoinvestito.
Io voglio essere cremato e sparso al mare, senza preti e senza funerale.
Amen.

11.3.10

L'ARTE, QUESTA SCONOSCIUTA




JAN DIX è l’eccellente personaggio creato da Carlo Ambrosini per Sergio Bonelli Editore.

Per nostra fortuna, non il solito fumetto di semplice intrattenimento e svago come buona parte delle produzioni bonelliane, ma un’opera densa di filosofia, psicoanalisi, e universali riflessioni sull’esistenza, ingredienti del vivere cosciente e quotidiano.
Che è poi l’impronta maschile di Ambrosini, il suo marchio di qualità, il suo sapiente sigillo intellettuale.
Ciò che noi ci aspettiamo ad ogni (attesa) uscita dell’albo.

Una (mini)serie che viaggia sulle 37000 copie di venduto, che parla dell'Arte e dei suoi quesiti, che disseta la mente invitando al pensiero creativo e vigoroso, che incuriosisce e stimola la coscienza sopita del lettore occasionale.
Per mere questioni di numeri (che non sono comunque da chiusura di testata) questa indispensabile avventura interiore chiude con il numero 14 come annunciato a chiare lettere dalla sua stessa genesi: MINIserie.

Per la seconda volta, dopo Napoleone, ci ritroveremo orfani della personale scrittura dell’Ambrosini, della sua prosa onirica e musicale, nonostante lo abbiano dirottato sul solito Dylan Dog che, di idee e buone pagine, langue da un bel pezzo.
Eh si, Dylan Dog, un personaggio che assomiglia sempre più a un prodotto Disney perché lo leggono anche i bambini, senza più squartamenti in primo piano e categorie ben precise di mostri che ne cristallizzano il carattere su opinabili canoni obbligatori (e pare irremovibili), con conseguente castrazione creativa dei molti che lo scrivono. Ma questo non ci interessa.

A mio modesto e soggettivo parere, nessuna delle altre miniserie della Casa Editrice (leggasi Caravan, Greystorm [!!!] ed affini) si avvicina allo spessore di Dix, tantomeno si permette di offrire spunti di riflessione e trasversali angolazioni.
Ma ciò non conta, dell’Arte pare se ne possa fare a meno.

Come pare che il genere popolare debba per forza evitare l’inedito e limitare l’esercizio della pubblica coscienza.
Forse vero (ma discutibile) per quella fascia di lettori che non pretendono ma esigono un ruolo dei personaggi sempre uguale a se stesso, assolutamente falso per chi, come me ed altre 36999 anime, cercano tra le parole e le chine di un albo, possibili suggerimenti d’autore e piccoli germogli di cultura.

Cultura che latita da decenni, che un grosso editore di tale potenza e capillare distribuzione sul territorio italiano dovrebbe diffondere ed incoraggiare con entusiasmo paterno.
Come fatto indispensabile per una corretta evoluzione del gusto popolare.

Una prece.

9.3.10

NO BLOCKBUSTER, NO PARTY



Negli ultimi mesi ( e ciclicamente, negli ultimi anni…) mi viene la sottile voglia di mollare i fumetti. Di non stamparne, scriverne, curarne, ne disegnarne più, tantomeno comperarne di nuovi… ma di bere più alcolici per bisogno di catalessi.

La stessa voglia di mandare tutto in culo riguarda anche la musica, smettere di suonare, di fare prove, nuovi dischi, bei concerti e tristi marchette per spettatori ignoranti ed ignari, culturalmente ed intellettualmente parlando.

Di mollare questa guerra furiosa che ti obbliga a procacciare (con apprensione) nuovo lavoro in ogni dove e rompere poi i coglioni (per mesi) per farti pagare, con il rischio di esser malvisto (perché insistente) e rifiutato per il lavoro dopo; preferiranno un giovinetto che vive con la mammina e che anche se non lo paghi è contento lo stesso, o che comunque non caca il cazzo più di tanto.

Questo paese di una sinistra mummificata e di fascisti superbi che non ascoltano i propri figli, che ti castrano, che se ne fottono della cultura, che globalizzano le povere menti e costringono quelle pensanti ad allinearsi, alla fuga o a nebulizzarsi in micro popoli di vari colori.

Una ex democrazia che non riconosce le qualità creative, che premia gli infami, i ricchi tiranni, i furbetti, i voltagabbana, i delinquenti, gli approfittatori, i calciatori, le troie, i grandi fratelli, i gregari e i preti.

Dove anche i personaggi assurti ed autoinvestitisi del ruolo di salvatori dell’Italya, della giustizia e dell’intelletto, formano a loro volta una nuova lobby pseudo mafiosella con amici, amichini ed amichettial seguito (sto parlando di Travaglio S.p.a.).

Ed allora uno pensa all’estero come un’isola consolatoria e felice, o soltanto un poco più civile che già basterebbe. O solamente come una bella avventura che è comunque un buon cibo, che vale la pena assaggiare.

Ma per guardare all’estero, sì che ci sono le mail per comunicare e ramificare un minimo, ma un giretto per editori, cantieri edili, panetterie di qualsivoglia paese bisogna farlo di persona.
E fare i giretti costa.
Magari non troppo, accontentandosi e scroccando pernottamenti ad amici sparsi, ma tant’è che qualcosuccia bisogna scucire. E non sempre si può.

Per contro, escono tonnellate di fumetti ogni mese, quintali di dischi, dvd, riviste e libri vari che non tutti vedranno, che non tutti troveranno sugli scaffali perché le edicole ed i negozi non possono tenere un ricco, aggiornato assortimento mensile, perché i distributori “certi titoli” non li tengono neanche in considerazione, non li consigliano, non fanno cassetta, li tengono a dormire nei magazzini.

No blockbuster, no party.

Ed ecco il confino dei confinati. Che stampano 500 copie e ne vendono 100, poi tutto si ferma.
A meno che non s’abbia un “aiutino amico” o la conseguente necessaria economia per girare tutte le fiere di settore (ed andare in distribuzione nelle librerie di varia) e combinare alfin qualcosa di decente, che somigli ad una presenza.

Insomma, tornare a fare il barista, o il cameriere, o il lavapiatti, o l’aiuto cucina o chissà cos’altro, manleva il libero precario dall’obbligatoria invenzione del vivere quotidiano per far bello il nulla.

Non vedo, non sento, non parlo ma percepisco uno stipendio e interpreto la mia parte nell’ingranaggio capitalistico sociale.
Con buona pace dei vampiri e dei maiali.

8.3.10

PILLOLE DI SAGGEZZA ET STORIA




“Se mostrerete ciò che è dentro di voi,
ciò che mostrate vi salverà.
Se non mostrate ciò che è dentro di voi,
ciò che non mostrate vi ucciderà”
Vangelo di Tommaso

“Non riusciremo mai a rendere alla Chiesa
il male che ci ha fatto”
PP. Pasolini

“Nell’uomo il bisogno di protezione
è stato soddisfatto con l’invenzione delle religioni.
Ciò gli ha impedito di crescere
e lo ha mantenuto da sempre in uno stato infantile di dipendenza,
che è il presupposto indispensabile per possedere una fede”
Francesco Privitera

. Nell’anno 383 Girolamo ricevette da Papa Damaso I° l’incarico di redigere un testo biblico unitario in latino.

. Girolamo cambiò i vangeli in circa 3500 punti e scrisse che non c’erano due testi che coincidessero per lunghi paragrafi e che esistevano altrettanti testi quante erano le copie disponibili. Egli affermò che “era difficile trovare la verità”, dal momento che ogni testo differiva dall’altro.

. Esistono non meno di 800 manoscritti dei Vangeli del Nuovo Testamento provenienti dal periodo tra il II° e il XIII° secolo. Il numero delle discordanze e delle differenze contenute nei circa 1500 testi più o meno integralmente conservati è enorme.

. Non esiste neppure un manoscritto che coincida con gli altri. I teologi contano da 50000 a 100000 varianti.

. Si conoscono 4680 manoscritti greci del Nuovo Testamento dei quali nemmeno due riportano esattamente lo stesso testo.

. Ciononostante la Chiesa Cattolica persevera nella dottrina, secondo la quale sia il Nuovo che l’Antico Testamento sarebbero “vera parola di Dio”. Anche per la Chiesa Evangelica essa è “unico giudice, regola e indirizzo”.

5.3.10

SCENDERE DAL PIEDISTALLO, GRAZIE.



C’è una discutubile tendenza ipocrita e sfigata nel ‘mainstream’ fumettistico nazionale.

Nuove primedonne spuntano come funghi, illustratori più che fumettisti a cui basta un’operina francesizzante e sospiroso/contemplativa, innaffiata di virtuosismi aulici et pittorici, per autoscolpirsi un mezzobusto mitico filosofico con giovani apostolati (ed adoranti critiche) al seguito.

Ebbene, domando volentieri a lor fortunati signori come possa nascergli cotanto atteggiamento divistico e indolente verso il resto del mondo...
Perchè mai tutt'a un tratto diventino dei "fighetta".

Sia chiaro, ciò accade anche in ambito musicale, sia chiaro, non sto mettendo alla berlina solo il mondo del fumetto...

Molte di queste storielline (e dischi) hanno soggetti pallosissimi spacciati come introspettivi, in realtà leggerini assai…
Pagine e pagine di paranoie, malattie mortali, foglie che cadono d'autunno, traumi infantili taciuti per una vita... ma senza domandarsi, ahimè, se al pubblico possa o meno fregare una fava dei cazzi loro, dei loro padri, dei loro nonni in guerra, del loro albero genealogico.

Pare si chiami romanzo a fumetti.

Oso supporre inoltre che l'eccessiva benevolenza popolare sia deleteria per la salute ego-mentale del soggetto protagonista, ergo lo snobismo verso tutti quelli che non lo conoscono, corteggiano, ammirano.
Ma la disponibilità è merce rara e costosa, come ben sapete.

Per fortuna c’è chi a pari requisiti ma maggior spessore interiore, mantiene intatte le proprie facoltà di gentile signore.

Molti si saranno trovati a subire l'idolenza di questi ‘astri nascenti’, quando nelle fiere del settore (ormai più vicine ai mercati ortofrutticoli che fumettistico per l’entusiasmo meramente commerciale, ma questa è solo banale modernismo evolutivo) cercano di ottenere una parola, un disegnino, un parere.

Indi per cui scendere dal piedistallo, grazie.